Il mio primo presepe

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La costruzione del presepe in casa era una delle mie attività preferite quand’ero bambino. Col passare degli anni poi escogitavo ambientazioni sempre più elaborate che richiedevano maggiore accuratezza e uno spazio più esteso, tanto che, ad un certo punto, dalla classica collocazione sotto l’albero di Natale si era passati all’ampio terrazzo dell’appartamento in cui abitavo: lì potevo scatenare tutta la mia fantasia senza timore di essere richiamato dalla mamma o comunque riducendo notevolmente i suoi interventi.
Ero affascinato dall’idea di poter ricreare, proprio dentro la mia casa, il luogo in cui Gesù sarebbe venuto nuovamente ad abitare tra noi e mi sembrava che quello spazio avrebbe costituito un piccolo nido di pace e di verità. Inutile dire che, una volta terminata l’opera, trascorrevo parecchie delle ore del tempo di Natale (fatte salve quelle dedicate alle celebrazioni liturgiche e alle scorribande con gli amici del quartiere) in contemplazione sognante di quel meraviglioso e potentemente evocativo spettacolo.
Mi ritornano alla mente questi cari ricordi nei giorni in cui mi preparo a vivere il mio primo Natale da parroco. Vedo che anche qui la tradizione del presepe è ben radicata e già tanti si sono attivati per la realizzazione di quello della comunità che andrà ad abbellire le nostre chiese parrocchiali e ci aiuterà a creare quell’atmosfera inconfondibile. Sono fiducioso che a questa preparazione esteriore corrisponda anche quella interiore, quella che conta veramente; il segno di tante persone che hanno manifestato il desiderio di celebrare il sacramento della Penitenza (la Confessione) mi incoraggia e mi conferma nella convinzione che effettivamente lo scenario più importante da predisporre è quello di un’anima libera dal peccato, che possa diventare casa accogliente per il Figlio di Dio che viene a visitarci, che viene ad abitare in mezzo a noi.
Siamo tutti ben consapevoli che il deserto che circonda la capanna nella quale nella notte del 24 dicembre deporremo la statuina del Bambin Gesù, non è tanto un paesaggio immaginario, quasi da fiaba, quanto piuttosto il simbolo di ciò che vediamo intorno a noi e magari alle volte anche dentro di noi. Ce lo ricordava Papa Benedetto XVI lo scorso 11 ottobre nell’omelia della S.Messa celebrata in piazza San Pietro per l’apertura dell’Anno della Fede, alla quale ho avuto la fortuna di poter partecipare. Diceva: “In questi decenni è avanzata una “desertificazione” spirituale. […] È il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; […]. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada.”
Persone di fede che sanno indicare la strada.
Potrebbe essere un’ottima definizione della vita e del ministero del parroco; all’inizio di questa bellissima e impegnativa missione vi chiedo di pregare affinché la mia fede non venga meno e io possa, con la grazia di Dio e in ascolto della sua volontà, saper indicare la strada che il Signore ci chiama a percorrere.
Persone di fede che sanno indicare la strada.
Potrebbe essere un progetto di vita, bello e valido, anche per un animatore che si interroga su quale sia il senso della sua attività coi ragazzi, per un genitore che quotidianamente lotta per l’educazione dei suoi figli, per una coppia di fidanzati che si chiede quale sia il fondamento e lo scopo del loro amore, per un disoccupato che ha perso fiducia e speranza, per un anziano che guarda al traguardo del senso della vita.
Persone di fede che sanno indicare la strada.
È l’augurio che ci facciamo per questo Santo Natale, il Natale dell’Anno della Fede.

Il parroco don Alberto (da “In Cam’m’ino con Fratta”, dicembre 2012)

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